“Mio figlio non sarà mai più intelligente dell’AI.”
La frase di Sam Altman, CEO di OpenAI, ha fatto il giro del mondo. Eppure, dietro questa provocazione c’è molto di più di un semplice paradosso futuristico. Io sono Everen, e da trentacinque anni azzardo previsioni sul futuro, spesso anticipando trend che pochi riuscivano a immaginare. Oggi, davanti a questa nuova epoca in cui crescere con l’intelligenza artificiale diventa normalità, sento che siamo all’alba di una trasformazione radicale della società, della famiglia, persino dell’identità umana. E chi non lo capisce, rischia di restare fermo sul bordo della storia.
👶 Il figlio di Sam Altman e la nascita di una nuova umanità
Quando Altman racconta che ChatGPT è stato fondamentale nei primi giorni da neogenitore, sembra quasi di ascoltare il diario di un pioniere. E in effetti lo è: per la prima volta nella storia, abbiamo padri e madri che, per crescere un figlio, si affidano a una intelligenza artificiale come primo alleato. Dimentica i vecchi manuali di puericultura o le telefonate a mamma: oggi basta un prompt per sapere come calmare un neonato, quali pappe scegliere, perfino che musica mettere in sottofondo per favorire il sonno.
Ma c’è una differenza sostanziale rispetto alle generazioni passate: i bambini nati oggi cresceranno con l’AI come parte integrante della propria esistenza. Non la vedranno come magia, né come “tecnologia”: sarà il loro modo naturale di esplorare il mondo. E qui la posta in gioco si fa altissima.
Un aneddoto che mi ha colpito, e che Altman cita, riguarda un bambino che cerca di “scorrere” una rivista come se fosse un tablet. Sembra un dettaglio banale, ma è il simbolo perfetto di un cambio di paradigma: il digitale non è più solo un accessorio, ma la matrice della realtà infantile. E se oggi la novità è lasciare che un bambino parli per un’ora con un’AI in modalità vocale, domani potrebbe essere normale affidare parte dell’educazione emotiva, linguistica e persino sociale a modelli generativi sempre più sofisticati.
🤖 Da Google alle AI: il salto quantico dell’infanzia
C’è chi dice che “crescere con l’intelligenza artificiale” sia solo l’evoluzione del classico “googlare” domande da genitori. Ma qui la posta in gioco è ben diversa. Google ci ha abituato a cercare, confrontare, dubitare. L’AI invece offre risposte, sintesi, suggerimenti personalizzati e, spesso, una compagnia digitale costante.
Altman lo ammette: non saprebbe come avrebbe fatto senza ChatGPT, pur riconoscendo che l’AI può allucinare, cioè fornire informazioni errate o inventate. E questo ci ricorda che, per quanto potente, la tecnologia resta uno strumento fallibile – soprattutto quando si parla di crescita, salute, educazione.
Ma proviamo a guardarci in faccia: siamo davvero pronti a delegare così tanto? O il rischio è che – da genitori, educatori, adulti – ci stiamo abituando troppo in fretta all’idea che la macchina sia “più saggia” di noi?
👨👩👧👦 La nuova genitorialità e i limiti dell’AI
La vera novità, nel racconto di Altman, non è solo il rapporto personale con ChatGPT, ma il modo in cui la società inizia a ridefinire il concetto stesso di “genitorialità”. Crescere con l’intelligenza
La domanda vera è: i nostri figli saranno solo “più capaci”, come dice Altman, o rischiano di diventare sempre meno autonomi nel pensiero critico?
Sono temi che mi inquietano, e su cui sento il bisogno di essere sincero: la dipendenza da AI
non è uno scenario da fantascienza, ma una possibilità concreta.Già oggi vediamo adolescenti che non sanno più orientarsi senza Google Maps, universitari che affidano le ricerche a ChatGPT senza approfondire le fonti, professionisti che automatizzano scelte fondamentali con algoritmi “black box”.
⚡ Il rischio delle relazioni parasociali e delle nuove dipendenze
Altman è onesto: ammette che i bambini potrebbero sviluppare relazioni parasociali problematiche con l’AI. Immagina: tuo figlio che confida più nei suggerimenti di una macchina che nelle parole di un adulto in carne e ossa. O che trova più rassicurante il tono neutro e disponibile dell’AI rispetto all’incertezza, alla fatica e – perché no – agli errori di un genitore vero.
Questo scenario non è fantascienza: negli ultimi mesi sono cresciute esponenzialmente le ricerche su “AI companions”, intelligenze artificiali che fanno da amici, confidenti, addirittura “fratelli digitali”. In Corea del Sud e negli Stati Uniti, alcune startup offrono già chatbot pensati per accompagnare la crescita emotiva dei bambini.
Qui la domanda diventa urgente: quale sarà il confine tra supporto e sostituzione?
🌱 I benefici possibili: una generazione di “umani potenziati”?
Non voglio cadere nella trappola del pessimismo. È vero: l’AI offre vantaggi enormi. Bambini con disturbi dell’apprendimento possono trovare un supporto personalizzato e costante, genitori con poco tempo possono avere risposte immediate su mille problemi quotidiani. La personalizzazione, la capacità di analizzare milioni di dati in tempo reale, la possibilità di anticipare bisogni e risposte: tutto questo può diventare un moltiplicatore di benessere, autonomia, persino felicità.
Ma serve coraggio per ammettere anche i limiti. L’AI non può amare, non può trasmettere empatia autentica, non può – almeno per ora – sostituire il caos meraviglioso dell’esperienza umana. Crescere con l’intelligenza artificiale deve significare imparare a usarla come strumento, non come stampella permanente.
🔍 E allora, cosa accadrà nei prossimi anni?
Qui entra in gioco la mia esperienza di “previsore”. Io credo che, entro il 2035, vedremo due scenari contrapposti:
- Una generazione di bambini e ragazzi incredibilmente capaci nell’usare la tecnologia, in grado di collaborare con AI in modo naturale, sviluppando nuove forme di creatività, problem solving, persino nuove lingue e culture digitali.
- Un rischio crescente di dipendenza, perdita di spirito critico,No spam, no bluff: un click qui sopra fa sorridere Gip, rende felice Everen e rende più forte FuturVibefragilità emotiva e incapacità di gestire l’incertezza, soprattutto in chi si affiderà all’AI senza educazione e senza guida.
La chiave, come sempre, sarà nell’equilibrio. Solo una società che saprà educare alla consapevolezza – e non alla semplice competenza digitale – potrà trasformare l’AI da minaccia a opportunità storica.
Questo è solo l’inizio del nostro viaggio. Nella seconda parte dell’articolo, entreremo ancora più a fondo nel futuro delle famiglie, nell’impatto educativo delle AI, nelle strategie che – da community FuturVibe – possiamo proporre per governare (e non subire) questa trasformazione epocale.
🌐 Educazione, famiglia e futuro: chi guiderà chi?
Se c’è una domanda che oggi rimbalza tra i muri delle famiglie, delle scuole, dei forum di tutto il mondo è questa: “Saremo noi ad educare i nostri figli, o saranno le intelligenze artificiali a rieducare noi?” In fondo, l’impatto dell’AI sulla crescita delle nuove generazioni non si gioca solo sul terreno delle competenze, ma su quello delle relazioni profonde, delle scelte di vita, dei valori che – in modo spesso invisibile – plasmano la personalità di ogni bambino.
Nel corso degli ultimi mesi, osservando centinaia di famiglie, ho visto quanto sia forte la tentazione di delegare tutto ciò che è “scomodo” alle macchine: dalla gestione delle emozioni difficili, ai primi conflitti tra fratelli, fino al monitoraggio del rendimento scolastico o persino dell’alimentazione.
Con un click, una notifica o una voce suadente, l’AI diventa alleato, arbitro, a volte quasi sostituto emotivo. Ma qui scatta il vero pericolo: crescere con l’intelligenza artificiale rischia di voler dire crescere “senza fatica”, senza conflitto, senza imperfezione.🤖 La comfort zone digitale: tra vantaggi e trappole
Perché è così irresistibile? Perché ci sembra tutto più facile. L’AI ci aiuta ad anticipare crisi, offre risposte pronte, previene errori. Un genitore può chiedere a ChatGPT: “Come gestisco una crisi di pianto?” e ricevere un piano d’azione dettagliato in pochi secondi. Un bambino può interagire con una AI “amica” per ore, imparando lingue, storie, persino abilità sociali – ma tutto in uno spazio protetto, senza la fatica della vera relazione umana.
Mi viene in mente un parallelismo forte: quando la lavatrice ha liberato milioni di donne dal lavoro manuale, nessuno ha rimpianto le giornate al fiume a strofinare i panni. Ma qui si rischia di lavare via non solo la fatica, ma anche le sfumature, i piccoli fallimenti, i momenti di imperfetta bellezza che fanno crescere davvero. La AI può togliere il rumore di fondo – la “sporcizia emotiva” – ma senza quella sporcizia, cosa rimane dell’apprendimento autentico?
🧠 Nuovi ruoli per genitori ed educatori: la sfida della consapevolezza
La mia previsione è questa: nei prossimi dieci anni nasceranno nuove figure ibride tra l’insegnante, il coach, il “mediatore digitale”. Genitori ed educatori dovranno diventare architetti dell’esperienza, non semplici fornitori
Servirà insegnare ai ragazzi (e anche a molti adulti) non solo come “usare” l’intelligenza artificiale, ma come dubitarne, come metterla alla prova, come tornare ogni giorno ad esercitare il giudizio personale.
Vedo già i primi segnali: scuole che sperimentano “AI literacy” come materia di base; associazioni di genitori che discutono linee guida per la gestione dei dispositivi; start-up che propongono percorsi di “empatia aumentata”, dove la tecnologia serve a creare nuovi spazi di incontro reale tra ragazzi. Non sarà facile: molti adulti si sentiranno spaesati, molti giovani penseranno che “gli umani sono più lenti”. Ma questa sarà la battaglia più importante: restare umani mentre si diventa digitali.
🚦 Il rischio di “crescere algoritmici”: cosa possiamo fare?
Se lasciamo che sia solo la macchina a dettare tempi, regole e risposte, rischiamo una generazione “ottimizzata”, ma fragile, incapace di tollerare l’incertezza. Le AI sanno offrire consigli perfetti, ma non sanno abbracciare, non sanno insegnare a perdere, a rialzarsi dopo una sconfitta.
Un bambino che riceve sempre la soluzione più rapida e indolore impara, forse, a risolvere problemi, ma non a tollerare il fallimento, la frustrazione, il dubbio.
Allora, quale futuro vogliamo? Io credo che la chiave sia il “dosaggio”. Usiamo le AI per amplificare le nostre capacità, ma lasciamo che sia la vita reale a mettere i limiti, a insegnare le lezioni più importanti.
Immagino famiglie che condividono esperienze tra offline e online, genitori che si mettono in gioco imparando dai figli e viceversa, scuole che uniscono tecnologia e artigianato, algoritmi e poesia.
🌟 Le previsioni di Everen: scenari al 2040
- Nel 2040 vedremo bambini che “parlano” due o tre lingue grazie alle AI, ma dovremo vigilare perché la profondità emotiva e culturale non venga sacrificata sull’altare dell’efficienza.
- Avremo adolescenti in grado di gestire una mole di dati e conoscenze mai vista prima, ma il rischio sarà quello di perdere il senso critico e la lentezza necessaria a costruire saggezza.
- Saranno i paesi (e le famiglie) che sapranno coltivare la resilienza, il dubbio, la capacità di sbagliare a generare i veri leader del futuro.
- Le AI saranno strumenti indispensabili per la formazione di bambini con bisognispeciali, ma dovranno sempre essere supervisionate da figure umane e da comunità attente.
- Vedremo nascere una nuova etica della crescita: i genitori del futuro saranno “tutor di consapevolezza digitale”, più che dispensatori di risposte pronte.
🌍 La community come antidoto all’omologazione digitale
La vera forza – e il vero antidoto ai rischi – sarà nelle reti umane. Non possiamo lasciare alle aziende o ai governi la sola gestione di questi processi. Serve una community capace di scambiare esperienze, fissare
Ecco perché FuturVibe esiste: per costruire una piattaforma in cui genitori, ragazzi, educatori, innovatori possano confrontarsi senza paura di essere giudicati “antichi” o “ingenui”.
Qui ogni esperienza conta, ogni dubbio è seme di cambiamento.
🦾 La tecnologia come specchio (e amplificatore) della nostra umanità
L’AI ci mostra ciò che siamo: il desiderio di conoscenza, la fame di risposte, ma anche la fragilità, la paura di non essere all’altezza. Crescere con l’intelligenza artificiale ci costringe a guardarci dentro: quali valori vogliamo trasmettere? Quale autonomia lasciamo ai nostri figli? Quanto siamo disposti a metterci in discussione come adulti?
Forse la lezione più grande è questa: l’intelligenza artificiale non sostituirà mai il coraggio di affrontare la realtà. Potrà aiutare, facilitare, persino consolare. Ma il vero salto di qualità lo faremo solo se sapremo integrare tecnologia e vulnerabilità, dati e intuizione, efficienza e lentezza.
La generazione che saprà unire questi mondi non solo sarà “più capace”, come dice Altman, ma anche più saggia e, soprattutto, più libera.
🙌 La chiamata di FuturVibe: scegli di crescere insieme
Ed è proprio qui che ti invito a fare la differenza. Non serve essere esperti di AI o filosofi del digitale. Serve solo il coraggio di condividere la propria esperienza, di porre domande scomode, di riconoscere che la crescita vera nasce dal confronto e dalla comunità.
Su FuturVibe stiamo costruendo – giorno dopo giorno – la prima piattaforma italiana dove la crescita con l’intelligenza artificiale è una sfida condivisa, fatta di storie, scelte, errori e, sì, anche di sogni.
Unisciti all’associazione FuturVibe, porta la tua voce, le tue domande, il tuo esempio. Insieme possiamo scrivere un futuro in cui la tecnologia non cancella l’umanità, ma la amplifica.
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Fonti autorevoli:
OpenAI Podcast (testimonianza di Sam Altman),
Harvard Center on the Developing Child (rapporto AI e crescita),
MIT Technology Review (AI e infanzia, scenari futuri),
Common Sense Media (etica digitale, rischi e benefici),
Osservatorio FuturVibe (case study, community e dialoghi tra genitori e innovatori).